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Giuseppe Alesi, pittore dell’anima. novembre 17, 2006

Posted by nuovatvp in People.
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Lo vedo che mi viene incontro dal lungo corridoio all’aperto che costeggia la ferrovia. Di là l’Adriatico calmo sotto il cielo terso. Sono venuto qui al Santo Stefano di Porto Potenza senza preavviso, ma Giuseppe Alesi non si formalizza: mi offre un caffè al bar e una Pall Mall rossa dicendomi di non preoccuparmi, ne ha da parte ancora una buona scorta. Gli dico che lo stavo cercando per una chiacchierata, per un’intervista insomma. Lui sorride, tira una bella boccata e fa: -Cominciamo pure allora-. Cominciamo allora.

Disegni ancora?

Come no? Non ho mai smesso, ormai sono arrivato a quattrocento. Sono un bel po’.

Ho visto “Il gatto che si stira” la nel bar. Ho riconosciuto solo gli occhi e gli artigli. Se non era per il  titolo non avrei riconosciuto nemmeno quelli.

È perché non hai fantasia. Ci vuole parecchia fantasia per capire quello che faccio. Fantasia e tempo. Un po’ più tempo di quanto se ne impiega per ingoiare un espresso-. Incasso.

Comunque non disegno soltanto, dipingo anche. Lo faccio ormai da trentasette anni. Ho iniziato con il disegno per affinare la tecnica: l’input per la pittura è partito dall’incontro con il pittore Marchegiani, è stato lui a invogliarmi ad usare i colori ad olio. Nello stesso periodo ho iniziato a studiare la soluzione dei vortici, spesso ricorrente nelle mie opere. Poi è stata la volta della scultura. La maggior parte dei miei disegni non sono altro che studi preparatori per la realizzazione di sculture. Sul lungomare di Alba Adriatica ce n’è una intitolata “Invito all’agonismo”: nella sua realizzazione sono stato aiutato dal fabbro Sansolini.

Che cosa sono i vortici?

Sono la proiezione delle mie risonanze interiori. Un modo per esternarmi. Io sono prima di tutto ciò che sento e quello che sento, io, debbo trasmetterlo-. Apre intanto la sua cartella. – Fin da giovane accumulavo tutto quello che mi succedeva e avevo un gran bisogno di riversarlo, di tirarlo fuori in qualche modo insomma. In questo l’arte mi ha dato una grossa mano.

Perché proprio l’immagine dei vortici allora?

Perché sono quelle che più si avvicinano al mio modo di sentire il mondo. Sono un pittore che non usa modelli, dall’indole introspettiva. Per dipingere mi vedo dentro insomma. E dentro ho un gran bisogno di risucchiare tutto ciò che è effimero nel mondo. Di tornare all’essenziale, all’assoluto. Perché è l’assoluto che conta. Siamo troppo presi dalle apparenze, dal “fuori”. Lo spirito sta “dentro” ed è quello che conta davvero. E a questo noi non ci pensiamo più, non gli diamo più peso. Ultimamente i miei vortici, li vedo da come li disegno, si stanno allargando. Le loro spire sono più ampie e più morbide. In definitiva sono io che mi sto allargando, che mi sto dando un po’ più di respiro.

C’è stato un cambiamento nel tuo spirito quindi. Che cosa è cambiato?

Ora sono più puro.

In cosa sei impegnato attualmente?

Sto lavorando a un “filone” con il motivo di volti di donna. Faccio spesso disegni in serie con variazioni e studi di più soluzioni, a cominciare dal tratto. Perché già nella ricerca di un tratto che mi soddisfi c’è il mio lavoro.

Come ti senti quando finisci di dipingere?

Mi da una soddisfazione immensa. Il parto di un figlio. Il mattino dopo è una grande gioia.

La tua opera cui sei più affezionato?

È di la nel laboratorio, vieni che te la faccio vedere. Si chiama “Invito alla preghiera”: è il ritratto di una madonna.

 

Ancora una volta la parola “invito”…

 

Si, nel caso della scultura di Alba Adriatica l’invito era quello di prendere a calci il pallone, semplicemente questo. L’ho realizzata nell’ottanta. Era scoppiato lo scandalo del calcio scommesse, c’era molto poco di sportivo in quello che succedeva, molto poco di calcistico. Per cui mi dicevo che la natura dello sport è ben altra cosa. Se vuoi fare il ladro vai da un’altra parte, la palla sta li per essere presa a calci e nessuno ti obbliga a farlo. Così nel caso di “Invito alla preghiera”.
La Madre di Dio ci dà semplicemente un invito a rivolgersi a Lei, a pregare. Siamo liberissimi di non farlo, lei  ci soffre per questo e anche un bel po’, ma sicuramente non ci obbligherà mai. Siamo arrivati, eccola qui.

 

Come è nata?

 

Per un periodo ho abitato a San Benedetto del Tronto. Facevo il parrucchiere per signore. Sopra al negozio avevo il mio studio, dentro un mezzanino. Ero da poco convalescente dall’infortunio e il mio morale non era certo alle stelle, tant’è che una mattina salgo allo studio e …hai capito che ci ero andato a fare lassù in cima no?

Si, ho capito…

Beh un attimo prima di saltare, sei libero di non crederci, sento una mano che mi acchiappa il piede. Mi sono fermato, dietro di me non c’era nessuno. È stata una specie di illuminazione. Sono tornato subito dentro e ho preso tela e pennelli. La linea del viso l’ho fatta di getto senza mai staccare il pennello dalla tela, poi il resto è venuto immediatamente dopo. Ho usato il nero e varie sfumature di giallo. Secondo me vale un bel po’, vedi un po’ se riesci a piazzarla-. Scoppia in una grossa risata.

 

Se ci riesco facciamo a metà però…

 

Ovviamente.

 

Che ci facciamo poi con tutti quei soldi? Dove ce ne andiamo?

 

Da nessuna parte, rimaniamo qui dentro al Santo Stefano. A lavorare.

 

Che diresti ai giovani che vogliono fare arte?

 

Anche se nessuno ti aiuta, fallo lo stesso. Io sono l’ultimo di otto figli. A uno solo dei miei fratelli diedero la possibilità di studiare ed esercitarsi nella pittura, ma alla fine sono io quello che è uscito fuori artista. Ci pensi? Io che ero la “sfetatura”…

 

La “sfetatura”?

Hai presente quando la gallina smette di fare le uova? L’ultimo che esce è sempre più piccolo di tutti gli altri. Beh, quella è la “sfetatura”.