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Il lago che non c’è. novembre 20, 2006

Posted by nuovatvp in Itinerari.
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Presso Amandola, comune sito nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, il lago di San Ruffino offre anche nei mesi freddi la possibilità di venire a contatto con una natura ricca di specie e atmosfere.

Chi arriva al lago di San Ruffino, nei periodi invernali, e guarda dal ponte che sovrasta la struttura di sbarramento non troverà il lago. Avanti a sé avrà una lunga distesa acquitrinosa che degrada verso le alghe secche e rossicce fin là dove il fondo si ricopre di un sottile manto verde d’erba. Sembrerebbe dunque un lago morto, un lago che non c’è poiché privo dei suoi 2.580.000 metri cubi d’acqua che periodicamente vengono prima raccolti e quindi rilasciati per favorire le irrigazioni delle coltivazioni a valle.

Il paesaggio lunare non deve trarre però in inganno: “il lago che non c’è” è vivo, si muove e respira attorno al fiume Tenna che lo sega sul fondo di curve e riflessi. Prospera sulle rive di una ricca vegetazione fatta di olmi, roverelle e noccioli caratteristici delle colline a ridosso dei monti Sibillini e molte specie igrofile: il salice bianco e cinereo, la frangola e l’ontano nero circondano i terreni acquitrinosi folti di canneti. Dove le rive si fanno fangose non è raro vedere le orme dei cinghiali scesi per dissetarsi cosi come quelle delle nutrie un roditore un tempo allevato per la sua pelliccia e da allora conosciuto come “castorino”. L’avvistamento del primo esemplare di nutria risale a due anni fa e a tutt’oggi ne sono state contate circa venti, senza dubbio risalite dalla bassa valle in cerca di cibo. Abitualmente erbivore hanno orientato i propri gusti anche verso le specie ittiche del luogo, approfittando degli svuotamenti periodici del bacino e quindi di una più agevole raggiungibilità delle prede.

Tra le specie ittiche compaiono barbi e cavedani ma anche carpe e trote fario. Queste ultime sono in sensibile diminuzione, per la presenza dei predatori e per l’attività di pesca sportiva: per scongiurarne la scomparsa viene condotta una costante opera di ripopolamento con l’introduzione di esemplari provenienti dagli allevamenti ma potrebbe non bastare. E’ dunque ben vista l’idea di realizzare delle vasche ad acqua corrente all’imbocco del lago in modo da favorire un naturale incremento di questi pesci che altrimenti rischierebbero di sparire cosi come è accaduto da ormai otto anni per le tinche.

Tutto lascia pensare quindi che il lago di San Ruffino sia dotato di un particolare microclima, di condizioni difficilmente riscontrabili altrove ideali per ospitare tanta varietà di flora e fauna. La conferma viene dalla presenza di altri ospiti del lago: guardando dal ponte dello sbarramento verso le rive verdi, quelli che sembrano sassi bianchi e sterpi scuri sono in realtà aironi. Caratteristici della pianura padana, spesso presenti nelle risaie, gli aironi abitano il lago ormai da vent’anni in due specie: l’airone bianco e l’airone cenerino. Il primo riconoscibile dall’abito completamente bianco è leggermente più piccolo del secondo che vanta una apertura alare che nei maschi adulti può raggiungere i due metri. Per entrambi la dieta è di solito costituita da rane, pesci, rettili, che catturano con un rapido colpo del lungo becco; in particolar modo sono ghiotti di pesce ed è questo il motivo per cui spesso non sono ben visti dai praticanti di pesca sportiva. Assieme agli aironi hanno trovato casa nei pressi del lago anche numerosi esemplari di poiana, rapaci che frequentano le basse quote nei mesi invernali e le cicogne delle quali è accertata la presenza da un paio di anni.

Per ammirare le specie che popolano il lago di San Ruffino è possibile percorrere i comodi sentieri attorno al bacino, facilmente individuabili chiedendo informazioni presso l’agriturismo “Dimensione Natura” situato immediatamente dopo il ponte dello sbarramento. 

In foto: l’airone cenerino. 

Scrivere e disegnare con il fuoco. novembre 18, 2006

Posted by nuovatvp in People.
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Intervista a Giovanni  Pintus

 

È chino sul suo tavolo da lavoro, Giovanni Pintus, quando lo avvicino per l’intervista. Da una parte i suoi lavori in via di completamento, sotto di lui una riproduzione della “Samaritana” di Munch incisa sul legno con il pirografo che sta in mezzo ai colori a pastello. “L’immagine l’ho scaricata da internet e l’ho ingrandita nel laboratorio. Con la  carta copiativa l’ho riportata su questo pannello quindi ho iniziato a inciderla”. Mentre parla tenendo in mano un pastello celeste, continua a lavorare. Ogni tanto lo posa per accompagnare le sue parole con un gesticolare sereno, razionale. La sua è la voce ferma e mai monocorde di chi ama e possiede ciò che fa. Di chi, vedendone i limiti, riesce a  intuirne le tante potenzialità ancora inespresse. Per chi come me è completamente digiuno la prima domanda è d’obbligo:

 

Cos’è la pirografia?

È l’arte di scrivere e disegnare con il fuoco. Uso un saldatore, il pirografo,  per creare le mie rappresentazioni sul legno. La passione è nata con i corsi che si tengono qui al Santo Stefano come quelli di pittura, cucito, ceramica e terracotta. Io mi sono specializzato nella pirografia. Più di tre ore consecutive però non posso lavorare. Il contatto del pirografo con il legno forma dei gas le cui esalazioni a lungo andare possono diventare nocive. In sé la tecnica è semplice, così come lo sono i materiali che vengono utilizzati. In qualche modo anche questa può essere considerata arte povera, vedi anche per colorare uso dei semplici colori a pastello. Ho iniziato da poco ad usarli: più che creare mi interessa dare un’anima a un disegno. Gli do corposità con il bassorilievo e vita con i colori. La mia è l’arte di giocare con il chiaroscuro ed è anche questo il senso della pirografia. Quando si usa il colore si parla invece di “pirocolor”.

 

Attualmente in cosa sei impegnato?

Sto lavorando su alcune riproduzioni dei meridiani umani cioè le mappe dei nostri centri nervosi. Me le ha commissionate un mio amico esperto di medicina orientale, le appenderà nel suo studio. La medicina cinese è molto attenta a questi aspetti: tu pensa che se hai l’emicrania massaggiando i piedi se ne va. Vale anche per i muscoli e in genere per infiammazioni e strappi, ma anche organi come il fegato possono trarne giovamento.

 

Quando hai terminato un lavoro come ti senti?

Sbotto dicendo: “Meno male, ho finito!”. Ridiamo tutti e due.

 

Un consiglio per un giovane che vuole cominciare?

Prima di tutto deve sentirlo dentro. La scuola e la tecnica, così come l’esercizio costante non bastano pur essendo importantissimi. Ma alla radice ci sono moti intimi che non possono essere “appresi”. Niente dall’esterno può infonderteli. Alcuni sono baciati altri no, anche se spesso quelli che vengono baciati dicono “era meglio di no”. L’importante è che queste sensazioni vengano cercate e stimolate e mai soffocate. Bastano questi ingredienti, senza l’ossessione della fama. Il pittore diventa famoso spesso post-mortem. Qualcuno potrebbe dire al pittore: “ma a che ti serve allora?” Si tratta di una esigenza interna, è uno sfogo e lui lo dice con la pittura. L’artista non ha e non vuole regole. Gli artisti non fanno la fila e spesso vivono ai margini, sono  persone libere che si esprimono tramite il cervello ed il cuore. In definitiva l’arte è un meraviglioso gioco di pensieri ed emozioni tra sé e l’esterno.

 

L’esterno?

La natura è la più grande ispiratrice. È un immenso organismo vivente dove spesso l’uomo fa la parte del virus.

E l’arte ce la può dare una mano a salvarci?

Può dare una mano a farci sentire meno dolore nel trapasso della vita. Ma questo più che il potere dell’arte è il potere della bellezza. Essa va ricercata continuamente in ogni luogo ed esperienza. E in questo non bisogna essere artisti ma semplicemente uomini. La bellezza sta nelle piccole cose anche quelle comunemente ed ordinariamente considerate stupide. Se riesci ad accorgerti della loro importanza ecco che ne scaturisce la bellezza. In quel momento è come se avessi un impero immenso nelle tue mani. È questo che ti fa sentire veramente forte, ricco e, passami il termine, potente.

Ora gli occhi chiari di Giovanni Pintus si sono illuminati di una luce ancora più tersa di quella che tenevano la prima volta che li ho incrociati. La sua voce si è fatta allegra e appassionata dalle sfumature solari, per certe inflessioni sibillina. Un grosso sorriso non smette di rimanergli dipinto sul viso.

Giuseppe Alesi, pittore dell’anima. novembre 17, 2006

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Lo vedo che mi viene incontro dal lungo corridoio all’aperto che costeggia la ferrovia. Di là l’Adriatico calmo sotto il cielo terso. Sono venuto qui al Santo Stefano di Porto Potenza senza preavviso, ma Giuseppe Alesi non si formalizza: mi offre un caffè al bar e una Pall Mall rossa dicendomi di non preoccuparmi, ne ha da parte ancora una buona scorta. Gli dico che lo stavo cercando per una chiacchierata, per un’intervista insomma. Lui sorride, tira una bella boccata e fa: -Cominciamo pure allora-. Cominciamo allora.

Disegni ancora?

Come no? Non ho mai smesso, ormai sono arrivato a quattrocento. Sono un bel po’.

Ho visto “Il gatto che si stira” la nel bar. Ho riconosciuto solo gli occhi e gli artigli. Se non era per il  titolo non avrei riconosciuto nemmeno quelli.

È perché non hai fantasia. Ci vuole parecchia fantasia per capire quello che faccio. Fantasia e tempo. Un po’ più tempo di quanto se ne impiega per ingoiare un espresso-. Incasso.

Comunque non disegno soltanto, dipingo anche. Lo faccio ormai da trentasette anni. Ho iniziato con il disegno per affinare la tecnica: l’input per la pittura è partito dall’incontro con il pittore Marchegiani, è stato lui a invogliarmi ad usare i colori ad olio. Nello stesso periodo ho iniziato a studiare la soluzione dei vortici, spesso ricorrente nelle mie opere. Poi è stata la volta della scultura. La maggior parte dei miei disegni non sono altro che studi preparatori per la realizzazione di sculture. Sul lungomare di Alba Adriatica ce n’è una intitolata “Invito all’agonismo”: nella sua realizzazione sono stato aiutato dal fabbro Sansolini.

Che cosa sono i vortici?

Sono la proiezione delle mie risonanze interiori. Un modo per esternarmi. Io sono prima di tutto ciò che sento e quello che sento, io, debbo trasmetterlo-. Apre intanto la sua cartella. – Fin da giovane accumulavo tutto quello che mi succedeva e avevo un gran bisogno di riversarlo, di tirarlo fuori in qualche modo insomma. In questo l’arte mi ha dato una grossa mano.

Perché proprio l’immagine dei vortici allora?

Perché sono quelle che più si avvicinano al mio modo di sentire il mondo. Sono un pittore che non usa modelli, dall’indole introspettiva. Per dipingere mi vedo dentro insomma. E dentro ho un gran bisogno di risucchiare tutto ciò che è effimero nel mondo. Di tornare all’essenziale, all’assoluto. Perché è l’assoluto che conta. Siamo troppo presi dalle apparenze, dal “fuori”. Lo spirito sta “dentro” ed è quello che conta davvero. E a questo noi non ci pensiamo più, non gli diamo più peso. Ultimamente i miei vortici, li vedo da come li disegno, si stanno allargando. Le loro spire sono più ampie e più morbide. In definitiva sono io che mi sto allargando, che mi sto dando un po’ più di respiro.

C’è stato un cambiamento nel tuo spirito quindi. Che cosa è cambiato?

Ora sono più puro.

In cosa sei impegnato attualmente?

Sto lavorando a un “filone” con il motivo di volti di donna. Faccio spesso disegni in serie con variazioni e studi di più soluzioni, a cominciare dal tratto. Perché già nella ricerca di un tratto che mi soddisfi c’è il mio lavoro.

Come ti senti quando finisci di dipingere?

Mi da una soddisfazione immensa. Il parto di un figlio. Il mattino dopo è una grande gioia.

La tua opera cui sei più affezionato?

È di la nel laboratorio, vieni che te la faccio vedere. Si chiama “Invito alla preghiera”: è il ritratto di una madonna.

 

Ancora una volta la parola “invito”…

 

Si, nel caso della scultura di Alba Adriatica l’invito era quello di prendere a calci il pallone, semplicemente questo. L’ho realizzata nell’ottanta. Era scoppiato lo scandalo del calcio scommesse, c’era molto poco di sportivo in quello che succedeva, molto poco di calcistico. Per cui mi dicevo che la natura dello sport è ben altra cosa. Se vuoi fare il ladro vai da un’altra parte, la palla sta li per essere presa a calci e nessuno ti obbliga a farlo. Così nel caso di “Invito alla preghiera”.
La Madre di Dio ci dà semplicemente un invito a rivolgersi a Lei, a pregare. Siamo liberissimi di non farlo, lei  ci soffre per questo e anche un bel po’, ma sicuramente non ci obbligherà mai. Siamo arrivati, eccola qui.

 

Come è nata?

 

Per un periodo ho abitato a San Benedetto del Tronto. Facevo il parrucchiere per signore. Sopra al negozio avevo il mio studio, dentro un mezzanino. Ero da poco convalescente dall’infortunio e il mio morale non era certo alle stelle, tant’è che una mattina salgo allo studio e …hai capito che ci ero andato a fare lassù in cima no?

Si, ho capito…

Beh un attimo prima di saltare, sei libero di non crederci, sento una mano che mi acchiappa il piede. Mi sono fermato, dietro di me non c’era nessuno. È stata una specie di illuminazione. Sono tornato subito dentro e ho preso tela e pennelli. La linea del viso l’ho fatta di getto senza mai staccare il pennello dalla tela, poi il resto è venuto immediatamente dopo. Ho usato il nero e varie sfumature di giallo. Secondo me vale un bel po’, vedi un po’ se riesci a piazzarla-. Scoppia in una grossa risata.

 

Se ci riesco facciamo a metà però…

 

Ovviamente.

 

Che ci facciamo poi con tutti quei soldi? Dove ce ne andiamo?

 

Da nessuna parte, rimaniamo qui dentro al Santo Stefano. A lavorare.

 

Che diresti ai giovani che vogliono fare arte?

 

Anche se nessuno ti aiuta, fallo lo stesso. Io sono l’ultimo di otto figli. A uno solo dei miei fratelli diedero la possibilità di studiare ed esercitarsi nella pittura, ma alla fine sono io quello che è uscito fuori artista. Ci pensi? Io che ero la “sfetatura”…

 

La “sfetatura”?

Hai presente quando la gallina smette di fare le uova? L’ultimo che esce è sempre più piccolo di tutti gli altri. Beh, quella è la “sfetatura”.